Pubblichiamo un resoconto della nostra Valentina Raciti che per lavoro si è recata in Oman negli scorsi mesi. Un’interessante esperienza di cui Valentina ha voluto fare partecipi i lettori di Primo Foglio.
-Dove sei stata? In Oman? E dov’è? -Penisola Araba, tra Emirati, Arabia Saudita e Yemen. Di solito segue un’espressione preoccupata, con una nota di curiosità. Questi i discorsi al mio ritorno, dopo un intenso periodo di lavoro durato quattro mesi. In realtà nemmeno io sapevo molto di questo Paese prima della partenza con una squadra di restauratori italiani (all’estero siamo ancora un’eccellenza) pronti a lavorare per il Ministero della Cultura e del Patrimonio omanita. Eppure l’Oman è un paese sorprendentemente sicuro e politicamente stabile, perché ha saputo costruire negli ultimi decenni solidi rapporti internazionali anche con l’Occidente, distaccandosi dagli estremismi religiosi. Il governo è retto da più di quarant’anni dal sultanon Qaboos, la cui immagine è onnipresente su strade ed edifici, ma non solo. Il sultano è talmente ben voluto che capita non di rado di vederne l’immagine stilizzata a mo’ di Che Guevara combattente sul retro delle macchine in improbabili adesivi, accompagnato dalla scritta “my sultan my hero”. È pur vero che questo monarca ha saputo portare nel giro di qualche decennio il Paese fuori da una condizione completamente rurale, investendo molto in infrastrutture, educazione e sussidi alla popolazione.
Per esempio a ogni cittadino omanita, al compimento del diciottesimo anno di età, viene regalato un terreno su cui potere edificare la propria casa. Il problema sarà quando il sultano, ormai anziano e malato, morirà, dato che non ha discendenti diretti. Inoltre ci sarà presto da potenziare e sviluppare altri comparti economici, ora che il petrolio ha subito un drastico abbassamento di prezzo. Situazione politica a parte, sicuramente consiglierei un viaggio a chi ama la natura selvaggia e il fascino della cultura mediorientale. Le spiagge bianche e deserte, modellate da particolari conformazioni carsiche, rendono il Paese una ottima meta anche nei nostri mesi invernali. Nelle località di Ras al Hadd e Ras al Jinz, ove vi è il capo in cui Mare del Golfo e Oceano Indiano si incontrano, non è difficile imbattersi in tartarughe marine e nuotare assieme a loro. Qui vi è una importante riserva per la riproduzione, e la notte le tartarughe escono dall’acqua per depositare e nascondere le uova. Un’altra sorprendente attività da fare in Oman è incamminarsi e intraprendere dei piccoli trekking lungo i wadi, ovvero i letti di fiumi periodici che si riempiono solo durante le piogge.
Uno dei più incantevoli è sicuramente il wadi Shab, una vera e propria oasi naturale racchiusa in un canyon roccioso, con palme da dattero e falaj, tipiche canalizzazioni a vista che da millenni apportano acqua alle coltivazioni, ora patrimonio dell’UNESCO. Qui, dopo una camminata tra le rocce, è possibile arrivare a pozze d’acqua cristallina e proseguire a nuoto, fino a raggiungere una meravigliosa “grotta azzurra” con cascata. Se ci si addentra nel Paese, il cui paesaggio è prevalentemente composto da una lunare roccia nuda e scabra disseminata da oasi e antichi forti, sarà facile essere invitati dalla popolazione locale a sorseggiare del caffè omanita con loro, seduti per terra su delle stuoie, il tutto accompagnato da frutta e datteri. Mentre Muscat, la capitale, si sta rapidamente dotando di modernissime ed enormi infrastrutture pubbliche per la cultura e l’intrattenimento, come l’Opera House e il Museo Nazionale dell’Oman, di prossima apertura, è ancora possibile girare per le piccole vie del quartiere più antico, Matrah, respirando un’aria tradizionale. Qui vi è il porto di Muscat e il suq, la zona del mercato tipica della cultura araba: sul lungomare si gode di una vista eccezionale, che abbraccia tutta la baia del porto e le montagne con le antiche torri portoghesi che si affacciano sul mare e che creano un profilo, insieme a quello dei minareti e delle sfavillanti moschee, davvero unico. Purtroppo rimangono delle cose molto difficili da digerire per noi occidentali: è difficoltoso venire a contatto e parlare con le donne, che sono velate e indossano sempre l’abaya nera, il tipico vestito lungo, così come gli uomini indossano dishdasha (camicione bianco) e masar (turbante). Questa la divisa d’ordinanza, peccato che, nonostante occupino già posti di rilievo sul lavoro, manchi ancora molto all’emancipazione sociale femminile.