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Pubblichiamo un articolo del PRof. Romolo Vitelli Già segretario cittadino del PCI di Francavill negli anni '70 e collaboratore di PrimoFoglio. Oggi vive a Varese.
"Pagare tutti per pagare meno"

Più di un dirigente a livello nazionale e locale va ripetendo in questi giorni che "sul territorio il PD ci sta più della Lega e che è necessario mandare messaggi chiari e preoccuparsi delle alleanze"; ma aggiunge la giovane dirigente Debora Serracchiani, parlando della difficoltà d'essere convincenti e chiari: "È difficile passare dal parlare di cambiamento al farlo. C'è un problema di sintesi, di comunicazione, di linea. E' con quello che poi si arriva al territorio". Ma che significa essere veramente nel territorio?. Secondo quello che dice M. Heidegger significa, esserci, cioè: ex- sistere, emergere da, diventare un  soggetto, un centro di riferimento di una determinata situazione, prendendosi - cura, delle cose, dei problemi concreti del territorio e risolverli; e nel rapporto con i suoi abitanti, avere - cura, cioè pre -occuparsi, di dare loro la possibilità di divenire liberi e vivere una vita autentica e non banale e conformistica. Questo è in estrema sintesi quello che intende il filosofo tedesco, che più di altri ha affrontato questa questione dell'essere - nel - mondo.

 Come si può facilmente vedere il problema quindi non è solo di presenza fisica, volantinaggio, gazebo ecc. cose in ogni caso sempre importanti e necessarie, né semplicemente d'alleanze, ma  qualcosa di più profondo, di un  tornare all'origine, allo spirito del Lingotto, accompagnando questa presenza nel territorio con un pensiero, un messaggio chiaro e comprensibile ai più, frutto di una concezione del mondo e di un'identità forte e definita di partito. Ed è  quello ad esempio che è riuscito a fare la Lega  nel  territorio  delle  regioni del  Nord Italia con una forte e chiara idea di società semplicistica, magari rozza, xenofoba, egoistica, secessionistica quanto si vuole, e per giunta con simboli celtici, fazzoletti e cravatte verdi stravaganti ecc., ma  con  una direzione  politica ferrea esercitata da un capo, cui tutti ubbidiscono. Ma una vera identità del Pd inclusiva, moderna, democratica e riformista in grado di rispondere ai bisogni, ai temi e ai problemi di una società del Terzo Millennio, a differenza  di quella della Lega, deve essere ancora costruita; ed è questo che impedisce ai messaggi del PD di passare tra la gente. Si tratta  pertanto di definire, all'interno di un rinnovato progetto per l'Italia, alcune idee-forza su cui incentrare l'iniziativa del partito, non dimenticando, però  se si vuol veramente cambiare, ciò che afferma in proposito lo scrittore francese Camus: "Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che cambi in esempio". Ed è anche  su questo versante che c'è da fare ancora di più nel PD: è necessario che i dirigenti, tutti i dirigenti, siano esempi di rettitudine e moralità ed abbiano anche  la capacità e la voglia di mettersi in discussione e rimettersi a pensare. Per  dare un contributo alla riflessione e fare un esempio  concreto d'idea - forza da portare sul territorio vorrei affrontare sommariamente  la questione fiscale, che è una problematica  molto sentita dai cittadini.

 Com'è noto  l'art. 53  della  Costituzione  recita in proposito: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività". Ma è proprio così oggi In Italia?  A vedere le dichiarazioni Irpef per il 2008, diffuse dal Dipartimento delle finanze, sembrerebbe proprio di no.  I dati  dicono che  quasi un italiano su tre paga  zero Irpef al fisco; e  sempre gli stessi dati fotografano un Paese diviso, con 20 milioni di persone sotto i 15 mila euro e dove a pagare sono soprattutto i dipendenti e i pensionati; solo l'1% dichiara sopra i 100 mila euro.

 Ne consegue  che non chi più ha, più dovrebbe  pagare, come chiede la Costituzione; ma chi meno ha, più  paga! Questi dati dimostrano che la ripartizione dei guadagni fra la popolazione non solo è ingiusta, ma che l'evasione fiscale ha raggiunto livelli insopportabili e fa passare per povere, persone che non lo sono affatto e che sottraggono alle casse dello Stato risorse consistenti. Basti pensare che a seconda delle stime, il valore aggiunto non dichiarato varia tra il 16% e il 18% del Pil, con una perdita complessiva di gettito che nel 2007  era valutata  in oltre 100 miliardi di euro, pari ad oltre il 60% dell'intero gettito Irpef, come ci ricordano A. Provasoli e G.Tabellini su Il Sole 24 ore.  Per comprendere il danno all'erario  di quest'evasione basta riflettere  su un'elementare verità: la finanziaria  del Governo italiano quando  è seria ed impegnativa a mala pena raggiunge i 10-15 miliardi di euro! Di chi è la colpa  di questa disastrosa situazione? Dei soliti Italiani che non amano pagare le tasse? Certo l'avversione per la  tassazione  è nota ed antica e non è appannaggio dei soli Italiani a  ricordarcelo è una tavoletta che risale ai tempi dei Sumeri: "Puoi avere un Signore, puoi avere un re, ma l'uomo di cui aver paura è l'esattore delle imposte". Ma chiediamoci: perché in Italia a differenza delle altre nazioni la sperequazione tra i cittadini è così alta? Perché questo principio costituzionale viene disatteso Certo pesa anche il retaggio della nostra tradizione che fa dire a Giacomo Leopardi che: "L'Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun'altra nazione europea e civile"; e al   prof.  Viola: "L'Italia è un Paese che ha da sempre un rapporto lasco con la legalità: a cominciare dalle sue classi dirigenti, poi giù, giù nella sua intera stratificazione sociale"; fino a far considerare chi rispetta le regole e paga le tasse una persona poca furba, in altre parole: un fesso. Ma la causa di tutto ciò è da ascrivere  soprattutto alle classi dirigenti del nostro Paese che si sono succedute nel passato e in particolare ai governi Berlusconi, che in questi ultimi tempi tra condoni e scudi fiscali ripetuti, (sempre votati dalla Lega, pronta poi ad inveire nelle valli bergamasche, contro "Roma Ladrona") non solo non ha fatto una politica d'equiparazione, ma smantellando i sistemi d'accertamenti e di controlli comunali  ha di fatto  incentivato e favorito i furbi, incrementando l'evasione fiscale e il lavoro nero.

  La prima cosa da denunciare  è che non vi è una ragione tecnica che spieghi perché l'evasione fiscale sia così diffusa nel nostro paese, tanto da essere un fenomeno di massa, perché grazie anche  ai progressi dell'informazione digitale, l'accertamento dei patrimoni immobiliare non può essere  tenuto nascosto. Le ragioni sono altre e sono  essenzialmente politiche!  Il PD deve proporre una politica  di seria verifica fiscale  sia  sui patrimoni immobiliari (appartamenti, ville ecc.)  che  finanziari (conti esteri, titoli ecc.) attraverso il ripristino di tutte le agenzie  comunali di controllo ed accertamento. Nella vicina Svizzera il fisco interviene  a tassare sia che uno possieda un immobile del valore di trecentomila franchi    sia che  abbia in banca  la stessa cifra.

 Quindi è necessario colpire anche da noi  l'evasione, che oltre ad essere  immorale è un fattore di grave distorsione della concorrenza. Il partito democratico deve riprendere lo slogan: "Pagare tutti per pagare meno"; e farsi promotore di fronte al disordine etico dilagante  di una rivoluzione morale e civile   che sappia dare al nostro Paese  una nuova coscienza civica e una perequazione tributaria equa e  giusta, riducendo il carico fiscale sui pensionati e i lavoratori dipendenti, consentendo un   miglioramento dei servizi pubblici e  recuperando denaro prezioso per ridurre il nostro debito pubblico.

Romolo Vitelli.

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